Tante volte ho pensato a quanto sarebbe stato bello essere un'adolescente con internet, lo smartphone, i social network. Non posso dimenticare la frustrazione di uscire al sabato sera sperando di incontrare "quellochemipiaceva", di trovare con fatica il coraggio chiedere con aria strafottente "Che per caso hai visto in giro..?", sperando che quell'amico in comune non glielo riferisse - speranza vana - o di incaricare qualche amica di indagare tramite l'amico del compagno di classe del cugino. Chi se lo dimentica il giro dei locali per beccarlo casualmente - puntualmente lui usciva e io entravo o viceversa -, come non pensare ai tuffi al cuore quando lo incontravo senza la fidanzata del mese, sperando che si fossero finalmente lasciati e che forse avevo qualche chance? (no, c'era già un'altra in lista d'attesa).
Ripenso alle mie cotte, a quanto sarebbe stato più semplice il love - stalking con internet, "XXX parteciperà a questo evento", le foto postate in diretta con tanto di geolocalizzazione. Del resto abitavo a L'Aquila, mica a Milano, i locali erano due, le strade quattro. Farsi trovare casualmente negli stessi posti sarebbe stato un gioco da pivelli. E lo stato "E' complicato", su FB, non mi avrebbe fatto dormire la notte, ma almeno mi avrebbe dato qualche speranza.
Questi giorni pieni di eventi in cui internet rappresenta l'arma affilata, tagliente, distruttiva, mi sta facendo cambiare idea.
Evviva la mia adolescenza in cui le cose, se volevi saperle, le chiedevi. E se le facevi, al massimo qualche stronzo spargeva la voce, ma comunque nessuno avrebbe avuto nessuna prova tangibile della tua trasgressione, perchè il massimo del divertimento col Nokia 3210 era giocare a Snake, mica riprendere la tua amica che fa petting o sesso con lo sconosciuto di turno nel bagno di un locale.
Eppure le cavolate le abbiamo fatte tutti, un po' d'alcol, un bacio dato a quello che avevi conosciuto la sera stessa, lo sparla-sparla su quella tipa lì che aveva fatto quelloquelloquelloequello con tuttiquelli, o quell'altra che nel bagno della scuola faceva le "cose zozze". Si dicevano queste cose, senza pensarci, senza considerare che stavi diventando un anello della catena infangante di cui gli adolescenti sono spesso vittime, ma soprattutto carnefici. Noi non avevamo cognizione del danno che stavamo facendo, seppur con le sole parole. Tanto dopo qualche mese nessuno ne parlava più, perchè c'era qualche altra tizia da tenere d'occhio, a cui dare della troia - si, lo facevamo - perchè si era messa con quello che ci piaceva, e allora doveva essere per forza una poco di buono.
Poi un episodio in particolare mi ha fatto pensare a quanto sia stata fortunata a vivere l'adolescenza senza che i telefoni e internet intaccassero le nostre vite e la nostra privacy in maniera così esasperante. Mi sono accinta a scrivere questa storia, eppure stavo per farlo omettendo la prima parte.
Volevo partire da quello che ho subito, senza fare alcun riferimento alla provocazione.
Perchè un po' mi vergogno, ancora oggi.
Invece i racconti di bullismo vanno narrati per intero, altrimenti non si capisce che i gesti "innocenti" possono scatenare un putiferio. Nel mio caso, un piccolo putiferio, ma pur sempre qualcosa di estremamente disagevole. In altri casi, purtroppo, si può dare il via ad una spirale che porta lentamente verso il basso e da cui talvolta è veramente complicando uscire fuori.
Un giorno - avrò avuto sedici anni, facevo la seconda superiore - a fine lezione entrai con una mia amica in prima I (o H? o F?) e scrissi alla lavagna "TUNZI AL ROGO, VI DISTRUGGEREMO COL POGO". In quel periodo ero fissata col Black Album dei Metallica, vi lascio immaginare quanto credessi profondamente in una frase del genere. Feci questo gesto senza pensare alle conseguenze, perchè in quella classe un gruppetto di ragazzine definite con sprezzo "tunzettare" - le discotecare della domenica pomeriggio - si vestivano in un modo che il mio senso estetico tendente al metallaro non tollerava. Non sopportavo i jeans negli stivaletti Magnum, i capelli ingellati attaccati alla faccia, le felpone nere della Pickwick, la musica tunz tunz che poi avevo ascoltato pure io fino a qualche anno prima. E i miei capelli, ora che ci penso, non erano tanto meglio dei loro.
Insomma, feci la figa e scrissi quella frase. Sbagliai, con l'ingenuità della furbetta che tanto non ci metteva mica la faccia, cosa poteva succedere? Volevo solo farle incazzare un po', quelle quattro bambinette che non capivano niente di musica.
Io non so come fecero a capire che ero stata io. Forse c'era già stato qualche scontro di sguardi a cui non avevo dato molto peso, e loro avevano subito collegato la cosa a me.
Ancora oggi, non lo so come accadde, ma accadde.
Dal giorno dopo cominciò un periodo della mia vita che ricordo con particolare ansia. Diventai vittima di quelle quattro bullette, capitanate dalla temibile Alessandra, una che "ti picchiava", se le stavi sulle balle. Io, dopo quella frase, diventai il suo principale pensiero per un mesetto buono. E lei il mio.
Non è che ricordi proprio tutto quanto, ma ho ancora ben chiaro come mi sentivo.
Male.
Mi seguiva all'uscita di scuola, con le sue scagnozze. Una volta mi fermò in un vicolo e mi disse, in dialetto "Devi farti il segno della croce!", e mi toccò bruscamente la fronte, le spalle e il petto con le dita. Io cercavo di fare la conciliante, non l'aggressiva, lei sosteneva che io la guardassi malissimo da un po', e che lei quelle che la fissavano le menava senza troppo indugio. "Bisogna stare attenti ad Alessandra", "Alessandra se gli stai sulle balle ti combina nuova". Una volta ero in giro con un tipo che frequentavo - ben lontana dai luoghi in cui c'era il rischio di incontrarla - e mi chiamò una mia amica: "Angela, devi venire subito sotto i portici, Alessandra dice che ti deve parlare... e se non vieni subito fa un casino". Insomma, tanto mi spaventai che mollai il mio amico e andai. Alla fine Alessandra non c'era, vai a capire, ma ricordo che una sua amica si fermò a parlare con noi in veste di mediatrice, mi definì "indisponente". Forse quella cosa mi ferì più di tutto il resto. Non sapevo nemmeno cosa volesse dire, ma mi sembrò una cosa orribile. Andai a cercarmi la definizione sul vocabolario: io irritavo gli altri con la mia sola presenza. La verità è che io questa qua - a parte la famosa frase in questione sulla lavagna - non l'avevo in effetti mai guardata nè troppo considerata. O se l'avevo fatto, non era certo perchè la odiassi o volessi scatenare il suo odio. Veramente, per me quella frase sulla lavagna cominciava e finiva lì, non volevo accendere una guerra tra fazioni, volevo solo sentirmi più grande e più giusta e la cosa si era ripercossa su di me, perchè col bullismo spesso sono le tue stesse azioni a ritorcersi contro.
"Te 'ccio", mi disse un'altra volta. Tradotto, "Ti ammazzo".
Poi tutto finì. Forse cominciò ad interessarsi a qualcun'altra. Forse arrivò l'estate. Non lo so. Ma finì.
Penso a quello che sarebbe successo che ci fosse stato internet. Avrebbe creato una pagina su di me per prendermi in giro? Sarei diventata la zimbella della scuola? Avrebbe usato le mie foto per sbeffeggiarmi? Avrebbe diffuso informazioni false sul mio conto?
Forse sì, forse no, ma sarebbe stato peggio. Perchè ero soltanto un'adolescente, fragile come tutti gli adolescenti, troppo attenta alla reputazione, a piacere a tutti, troppo suscettibile, troppo interessata ad appartenere ad un gruppo, a farmi amare.
Alessandra mi ha bullizzato, è vero. Non è successo niente alla fine, non le ho prese e forse lei non le ha neanche mai date, ma pensandoci bene tutto è partito da una mia provocazione. Sono stata io a bullizzarla per prima, in maniera più sottile, subdola, senza l'intenzione di creare alcun cataclisma, ma è proprio l'ingenuità il problema. Credere di non fare niente di male, e invece.
Magari lei era più fragile e indifesa di me.
Magari lei era più fragile e indifesa di me.
Evviva la mia adolescenza senza telefoni, senza internet, in cui era ancora possibile avere dei segreti. Evviva il mio diario segreto che scrivevo ogni sera, vero custode delle mie malefatte, delle mie sigarette fumate di nascosto, dei miei baci rubati, delle mie seghe a scuola per andare al bar.
Oggi il mio pensiero va a Tiziana e alle altre vittime, e mi sento una persona fortunata perchè avevo meno di loro. E probabilmente questo ha salvato me e tante altre ragazze.
Non avevo uno smartphone, e internet lo usavo soltanto per scaricare i Metallica da Napster.
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MLG
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